Verso una cittadinanza digitale: come gestiamo i nostri dati?
Il continuo avanzamento tecnologico richiede continui rinnovamenti per la “cittadinanza digitale”, per tutelarne i diritti e i dati personali che troppo spesso rischiano di cadere in mani sbagliate.
In continuazione si richiede alle grandi aziende operanti nel settore tech di gestire e accedere ai dati personali in modo da offrire piena trasparenza rispetto al loro uso, tramite il ben conosciuto consenso informato.
In una ampia discussione che ormai ha assunto un livello internazionale l’Unione Europea ha predisposto un nuovo strumento di regolamentazione, il GDPR, che sta in effetti modificando il modo in cui i big tech lavorano in materia di dati personali, dando la possibilità agli utenti di avere i più alti livelli di privacy possibili.
Non sorprende in tal senso che molte società big tech abbiano messo al centro della loro agenda l’adozione di modelli di privacy preservation sempre più avanzati, e che la protezione della privacy stia diventando sempre più una specifica value proposition per gli utenti. Non sorprende neppure che nelle ultime ore si stia delineando, proprio per l’app Immuni, l’adozione di una nuova architettura decentralizzata di gestione dati basata proprio su soluzioni già adottate da Google e Apple.
Si può probabilmente affermare che l’emergenza coronavirus possa prestare il fianco a riflessioni sul tema dei dati, sulle opportunità che la tecnologia offre e su quali criticità ancora esistono a riguardo.
Da un lato, infatti, sempre più avanzati algoritmi basati su intelligenza artificiale riescono a estrarre informazioni e predizioni sempre più accurate sulla base dell’analisi di enormi moli di dati (rimanendo vero che gli algoritmi sono tanto accurati quanto alta è la qualità e quantità dei database utilizzati per “addestrarli”).
Dall’altro lato, si stanno sviluppando sistemi innovativi per consentire il training degli algoritmi in architetture distribuite: modelli sempre più raffinati di distributed o federated learning consentono di sviluppare e “istruire” algoritmi su basi dati distribuite, senza dunque richiederne la centralizzazione in un unico database.
Naturalmente al contempo sono in continuo sviluppo le già ottime tecniche di preservazione dei dati da parte dai gigante della tecnologia.
Tornando alle applicazioni di tracciamento, diventa sempre più lampante che la vita dei cittadini ruota ormai fra il mondo reale e quello digitale. In mezzo a queste due realtà sussiste la propria identità digitale, composta di dati per lo più, la nostra digital footprint.
La consapevolezza nei cittadini dell’esistenza di questa entità, della sua importanza, dovrà diventare centrale nell’educazione civica di ogni persona, poiché il digitale non è più un componente legato allo svago o a poche limitate sfere della vita, bensì -e non rivolgere un pensiero all’Industria 4.0 sarebbe impossibile- una parte fondante dell’esistenza di ognuno di noi.